Notturni
"E il male è mero equilibrio a natura/ E l'esistenza è un punto che dilegua/ Nella fredda oscurità degli oceani,/ E mesta lusinga è la speme in tutti."

(Camille Cortot, Le lac; effet de nuit, vers 1869)
Notturni
Anno di composizione: 2023
Metrica: endecasillabi sciolti
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Notturno n° 1
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Ognuno è solo davanti alla notte,
E il silenzio mira mentre una luce
Calda lo avvolge e dalla lenta morte,
Che è lì ad un passo o a pochi metri in sotto,
Lo salva, lo abbraccia, e in tacita angoscia
Una grande foresta nera in via
Cerca di contemplare o di fermare,
Una foresta che imperversa in sù,
Che come un'onda s'infrange nel petto
Ansimante, il mio, doloroso e vivo:
È lo mio petto che sanguina e grida,
È quella stessa onda che incanta e gioca,
È il passo del bambino che si perde
Tra le strade deserte; è quella vecchia
Il cui guardo è abisso di atri abissi;
È lo mio petto una selva dulciana
Che racchiude interminabili spazi,
È una voce in sottofondo che intona
L’olezzo petrìcore delle strade.
È lo mio petto uno struggente manto
In cui occhi stanchi vorrebbero alfin
Riposare, come una viride foglia
Ricorperta di bianca e pura neve.
È lo mio petto una nube dipinta
Da ruvide mani che m'accarezzano,
Una nube da cui uno squarcio in mezzo
Avvampa, una luce che all’improvviso
Penetra in limpida disperazione,
La incalza, la vuole vincere e lotta.
Vi dirò alfin che cos’è lo mio petto:
Un sepolcro d’idee e segreti arcani
Un sepolcro di beltà rare – e d’amori.
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Guardo: sguardo
Dulciana: che rieccheggia suoni di viole
Petricore: odore durante e dopo la pioggia
che interrope un periodo secco
Viride: verde
Avvampa: che si accende, che risplende
Arcani: misteriosi
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Notturno n° 2
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La mia anima è stanca e brama l’ignoto
La cui aurea voce un fero dubbio esprime
E d’amarillo ha la veste, bagnata
Di sangue altero e desolate guerre;
In codesto vuoto tu sei l'oblio
E i tuoi occhi cilestrini a me sì cari
E ignari, de lo tuo impuro desìo
Suscitano in me violenti pensieri
E in te, bocca cinabrea, di sì vortice
Selvaggio che ‘l tüo bel capo inclini,
E che ‘l tuo sospiro opprimi; in te, dico,
Io abbandonarmi potrei, ma vorrei
Pria, nel tuo freddo e attenebrato seno,
Inabissarmi perché lì è la vita,
Lì è la maschera del mondo e tu, cara
Lì ti nascondi e col tuo duro accento,
Scuro e barbaro mi convincerai
Che le tue nude spalle di ferite
Coperte, che io vedo perché ti vedo,
Sono un campo avido di fiori eburnei.
Io t’amo, o donna, e presso di me, donna
Troverai un custode d’infamie e pianti,
D’alligranze fugaci, o rimembranze
Di baci; troverai, o cara, l’incanto
Del mare calmo dopo lo naufragio
Del mare adorno di raggi solari
Con quel brillio perlato di calde gocce,
Leggiadre o di gaudio, forse alfin vane;
Del mare, o cara, che apparenza asconde
Contrasti dimenticati e silenzi
Amari, tramonti eterni, idilliaci
E ancor fugaci. Tu sei lo mio carmen
Che dall’animo sboccia in roseo canto
E amare è sì dolce come di tenebra
E amare m'è sì forte… puro… e vero.
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Fero: feroce
Amarillo: giallo
Altero: fiero, superbo
Cilestrini: celeste chiaro
Desio: desiderio
Cinabrea: rosso intenso
Attenebrato: avvolto nelle tenebre
Eburnei: d'avorio
Alligranze: allegrie
Carmen: poema
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Notturno n° 3
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Era il pallido e fosco plenilunio
E un dolore agghiacciante e taciturno,
Carco di sì penose rimembranze,
Penetrammi, è vero, fin nelle viscere,
Mentre alla porta dell’alcova mia
S’udivano gemiti di piacere,
E sorrisi o ghigni, e rumori, e poi,
Aggomitolato in tristi lenzuola,
Sogni vani di eternità tradite
Mi trattenevano in corrotti pianti,
E tra silenzi e impassibili brezze
L’occhio del soffrire, de lo mio ardore,
Omai in abbandono di sì codesto
Essere, pietrificato dal vuoto
D’una esistenza che misera scruta,
Chiedeva una fuggevol fidanza,
Chiedeva una voce amica e sincera,
Chiedeva che il cor del mondo piagato
Da volontà ignominiose e crudeli
Potesse alfin trovare un sì bastante
Retaggio di glorie passate, e tu,
Che ti muovi tra falsità e apparenze
Tra nidi e patrie e sterili disegni,
Potessi lontanamente all’ascolto
Porti, ragionando di finitudini
Spaventose, senza… darti… alla fuga.
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Carco: carico
Alcova: giaciglio
Fidanza: fiducia
Penetrammi: mi penetrò
Rimembranze: ricordi di immagini e sentimenti remoti
Piagato: ferito
Retaggio: eredità
Disegni: progetti
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Notturno n° 4
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Or sempre dovremo, amico, qui accorrere
A morte e vita e a quel finire nostro,
E dovremo discorrere de' lacci
Funesti, e di come infrangerli o ancora
Di come una pioggia vermiglia e tenera
Avvolgere, e così arrenderci e dire:
« Ragione è schermo ». Non forse allor tutto
È ciclo eterno e stanco dell’uguale
O di cangiamenti leggeri e minimi?
Non siamo forse noi fatti di padri
Perduti, di fidanzamenti obliati
Di afflizioni e ripudii o simulate
Fughe, sospetti, ire, utopie, coraggi
O di castità vendute? Siam fatti,
Amico, di voci omäi scomparse
Di gesti plumbei e di lacrime amare...
Il discorso è indarno e tu lo sai bene,
Il discorso è un passo affrettato, vano;
La cruda ansia 'l mondo sicuro ottenebra,
Compiuto è il parricidio e dio scompare,
Non resta che contemplare la forza
Creatrice dell'universo, che vuole
Se stessa, la propria unica potenza,
E il male è mero equilibrio a natura,
E l’esistenza è un punto che dilegua
Nella fredda oscurità degli oceani,
E mesta lusinga è la speme in tutti.
Contempla, amico, di ciliegio ‘l fiore
Contempla e t’arresta - la notte è lunga.
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Schermo: protezione
Cangiamenti: cambiamenti
Omai: ormai
Plumbeo: di piombo
Indarno: inutile
Che dilegua: che si dilegua
Mesta: triste
Lusinga: illusione
Speme: speranza
T'arresta: fermati
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Notturno n°5
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Aspra rampogna il tuo vil detestare,
Eppur ricordo quando alla fontana,
Col tuo candore fresco di fanciulla,
Mi dicesti se vita fosse la mia
Ed io, tacendo, conturbato forse,
Risposi guardandoti negli occhi
E penetrai nella tua anima arcana,
Mentre una triste foschia mi bagnava
Acquietando da ultimo lo mio volto.
Il tuo agire meccanico, il tuo errore
Fu quello di credere al tuo volere,
O credere che quelle tetre labbra
O finanche quei puberali seni
Potessero darti ‘l sacro diritto
D’adontarmi. Ma ora, che ‘l tuo fardello
T’opprime, o donna, ora che libertà
A te è straniera, ora che se’ in balìa
Di cruda natura e d’empia tua prole,
I o t’ h o d i m e n t i c a t a, e il ciel ramingo
Inseguo figurandomi la sagoma
Del corpo, di quel tuo corpo leggiadro
Che nella mia mente va scomparendo;
Va scomparendo persino l’odore
Della tua pelle impregnata di speme
E volgarità ingenue, e sussulti
Violenti che lo mio core inebriavano,
E s’obliano le tue mani di ghiaccio
S’obliano i sogni di baci e carezze
S’obliano le vane lacrime al vento
S’obliano i malinconici sorrisi…
Ebbene, davanti allo specchio vedo
La mia immagine riflessa e la tua,
Rïemergendo dall’oscurità,
Di me fa poeta - e lo guardo mio allieta.
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Rampogna: rimprovero
Conturbato: turbato
Acquietando: pacificando
Puberali: adolescenziali
D'adontarmi: d'offendermi
Ramingo: costretto continuamente
a peregrinare (dal destino)
Leggiadro: leggero
Allieta: rallegra
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